LIQUIDAZIONE DEL PATRIMONIO
INSINUAZIONE TARDIVA AL PASSIVO
La ricorrente ha invocato l’applicazione analogica dell’art. 101 L.F. (che al comma 1° consente la proposizione delle domande tardive depositate oltre il termine di trenta giorni prima dell’udienza di verifica del passivo e non oltre quello di dodici mesi dal deposito di del decreto di esecutività dello stato passivo) e deduce la violazione dell’art. 12 delle preleggi del codice civile, evidenziando le numerose affinità tra la procedura ex artt. 14 ter e ss. L. 3/2012 ed il fallimento ex R.D. 267/1942, che legittimerebbero un’applicazione analogica di tale norma. Ad avviso della ricorrente, in particolare, trasponendo il dettato di quella stessa norma nella struttura procedimentale delineata dalla L. 3/2012 per la procedura di sovraindebitamento in esame, le domande tardive di insinuazione al passivo di una procedura di liquidazione del patrimonio potrebbero essere proposte fino a dodici mesi dalla comunicazione dello stato passivo da parte del liquidatore.
Questo Collegio ritiene che, erroneamente, la ricorrente ha invocato l’applicazione analogica dell’art. 101 comma 1° L.F., prospettando un’interpretazione dell’art 14 sexies lett b L. n. 3/2012 come se il suo testo presentasse una lacuna e necessitasse di un’integrazione.
La norma in oggetto è, invece, determinativa di un testo autosufficiente, atteso che la mancata previsione da parte del legislatore della L. n. 3/2012 della possibilità di proporre domande tardive è frutto di una scelta dello stesso legislatore, che non ha ritenuto ammissibile altro che la domanda tempestiva.
Le Sezioni Unite, nella sentenza n 38596/2021, hanno chiarito che il ricorso all’analogia non può mai giustificarsi in funzione “creativa” da parte del giudice
Dunque, non si può ricorrere all’applicazione analogica semplicemente perché una disposizione normativa non preveda una certa disciplina, in altre invece contemplata, non integrando tale situazione ex se una lacuna normativa. L’analogia postula, infatti, che sia correttamente individuata una “lacuna”, tanto che al giudice sia impossibile decidere altrimenti (art. 12 preleggi: «se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione …»). La previsione si spiega storicamente nel senso di evitare, in ragione del principio di completezza dell’ordinamento giuridico, che il giudice possa pronunciare un non liquet, a causa della mancanza di norme che disciplinino la fattispecie.
la disciplina dei termini nella presentazione delle domande di partecipazione alla liquidazione del patrimonio del sovraindebitato è “compiuta” e se non prevede la disciplina delle domande tardive ciò si giustifica in ragione della peculiarità di tale procedura, improntata alla massima semplicità e celerità.
In generale, ove ci si trovi in presenza di atti che non hanno natura processuale in senso stretto, questa Corte ha affermato che il carattere perentorio di un termine non deve necessariamente risultare esplicitamente dalla norma, potendosi desumere dalla funzione, ricavabile con chiarezza dal testo della legge, che il termine è chiamato a svolgere (v. Corte Cost. n. 107/2003; Cass. S.U. n. 1111/1994; vedi anche Cass. n. 2608/1984; Cass. n. 1288/1988).
nella fattispecie di cui all’art. 498 c.c., caratterizzata dall’analoga situazione del concorso di più creditori e dalla liquidazione di un patrimonio (in questo caso ereditario), benché il termine ivi previsto non sia espressamente previsto come perentorio, questa Corte ha ritenuto di desumere la perentorietà dall’esigenza acceleratoria della procedura, che indubbiamente si riscontra anche nella liquidazione del patrimonio del debitore sovraindebitato. Non vi è dubbio, infatti, che, anche in confronto con la disciplina della procedura fallimentare, l’esigenza di procedere alla rapida liquidazione del patrimonio emerge (nel sovraindebitamento) con evidenza sia nella fase di verifica del passivo, che in quella di eventuale contestazione della decisione sull’ammissione del credito, e pure in quella di liquidazione dell’attivo, fasi la cui regolamentazione è caratterizzata dalla massima semplificazione del rito.
Ne segue che i termini che il legislatore ha previsto per la verifica dello stato passivo e per l’esame delle domande hanno un significato pregnante, e non possono ritenersi, “inutili” – come sostanzialmente pretenderebbe la ricorrente – solo perché non espressamente previsti a pena di decadenza. La loro perentorietà – oggi d’altronde riconosciuta nel CCII (art. 270) – discende quindi dalla loro funzione. Pertanto, è preclusa al creditore la semplice presentazione di domande di partecipazione alla liquidazione oltre il termine ex art. 14 sexies lett. b) L n. 3/2012, salvo che il creditore tardivo non giustifichi il suo ritardo nell’ottica di un’istanza di remissione in termini (art. 153 c.p.c.), dimostrando l’esistenza della causa non imputabile che abbia determinato la decadenza.
In questa sede va enunciato il seguente principio di diritto:
“Gli artt. 14-ter e seg. della l. n. 3 del 2012 contengono una disciplina compiuta della liquidazione del patrimonio del sovraindebitato, nella quale il termine ex art. 14 sexies lett b) – la cui concreta determinazione è rimessa all’organo della liquidazione – è termine di fonte legale avente specifica funzione acceleratoria della procedura; ne segue che, pur non essendo espressamente previsto dalla legge a pena di decadenza, il termine va considerato perentorio. Pertanto, è preclusa al creditore la semplice presentazione di domande di partecipazione alla liquidazione oltre il termine citato, salvo che il creditore tardivo non giustifichi il suo ritardo nell’ottica di un’istanza di rimessione in termini (art. 153 c.p.c.), dimostrando l’esistenza della causa non imputabile che abbia determinato la decadenza”.